Lessi un po’ di tempo fa su un libro di Ken Follett una frase che, ora come ora, mi torna a fagiolo: “Confida in Allah, ma lega il tuo cammello”. Credo che in questo proverbio musulmano ci sia concentrata la particolarità del Marocco. Un paese che si affaccia sul Mediterraneo, ad un passo dall’Europa, eppure così diverso. Uno stato in cui la religione pervade tutta la quotidianità ma in cui un sano timore del prossimo non assicura un’apertura totale verso gli altri. Il cammello deve essere legato perchè ci potrebbe essere sempre quello che è pronto a sfilartelo da sotto gli occhi e allora, forse, è meglio prevenire che curare. Un’area, quella marocchina, ricca di sfaccettature, che mantiene ancora una gerarchia sociale derivata molto probabilmente dal fatto che, come ciascuno stato al di fuori dell’Europa, non è stato colpito dalla Rivoluzione Francese. Uno stato che si affaccia sull’Atlantico, che guarda all’Europa ma che si specchia tra i monti dell’Atlante e i ruscelli che vi scorrono. Edith Wharton che lo visità nel 1917 disse che il merito del Marocco era quello di “aver conservato la magia dei secoli passati e il mistero dei giorni proibiti”. Ora le cose sono un po’ cambiate, non c’è più il mistero e i segreti di un periodo d’oro come quello degli anni a cavallo tra la prima guerra mondiale e la seconda. Il Marocco ha perso anche tutto lo charme che si poteva sentire pervadere film come “Casablanca”, la paccottiglia cinese in vendita nei vari souk è solo un iceberg di un problema più grande: una cultura che sta cambiando profondamente le sue radici per cedere il passo al turismo e a business con qualche punto ch, però, ancora possiede la meraviglia dei tempi andati, di quei segreti che pervadono i secoli passati e li ammantano di mistero.
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